El artista como sujeto alienado en la novela española del entresiglos XIX-XX (1885-1913) y una aproximación a sus homólogos europeos
The artist as an alienated character in the late 19th and early 20th Century (1885-1913) spanish novel with an overview of their european counterparts

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Author
Muñoz Benítez, María
Director/es
Bonilla Cerezo, RafaelRodríguez Mesa, Francisco José
Publisher
Universidad de Córdoba, UCOPressDate
2021Subject
Estudios literariosNovela
Artistas novelescos
Sujeto artista
Literatura española
Narrativa europea
Siglos XIX-XX
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Show full item recordAbstract
Questa Tesi analizza la presenza dell’artista —pittore, scrittore, musicista e scultore— nel romanzo spagnolo dell’ultimo terzo dell’Ottocento e del primo decennio del Novecento, abbozzando anche la sua rappresentazione nella narrativa tedesca, francese, anglosassone, italiana e russa. Nell’ambito dell’analisi critica e filologica, il nostro studio si inserisce nel quadro delle proposte della sociologia della letteratura. Proponiamo un approccio al testo del romanzo concepito come prodotto depositario di un’ideologia di classe, determinato dalle relazioni socio-economiche in una situazione storico-culturale specifica, seguendo le teorie di Georg Lukács e Lucien Goldmann. La scelta dell’artista come personaggio è dovuta alla sua appartenenza a un gruppo sociale problematico, costituitosi come forza pubblica in un processo durato cinque secoli, e che, per il suo carattere speculare, riflette meglio di qualsiasi altro archetipo letterario l’evoluzione della mentalità delle società europee lungo la loro storia. La Tesi può essere suddivisa in tre grandi sezioni: l’artista come agente sociale (capitolo I), l’artista come soggetto narrativo (capitolo II) e sei studi dettagliati sulla presenza dell’artista in altrettanti romanzi spagnoli pubblicati tra il 1885 e il 1913 (capitoli III-VIII). La prima sezione offre una contestualizzazione essenziale in una Tesi di questa tipologia, e in essa viene abbozzato un percorso compendiario diacronico che dà conto dello statuto dell’artista come professionista, dagli albori della civiltà occidentale all’avvento del modello statale liberale contemporaneo. Lo scopo è stato quello di chiarire le reali origini dell’artista, e a tal fine ci siamo avvalsi di studi di antropologia culturale, di testimonianze di artisti di diverse epoche e di saggi di filosofia e teoria estetica, sperando di coprire con la maggiore precisione possibile tutte le sfumature della sua carico connotativa nel testo letterario. Allo stesso modo, parte del nostro esame include una revisione comparativa della considerazione di cui ha goduto la coltivazione delle arti nei suoi vari rami. Il discorso inizia trattando la realtà dell’artigianato anonimo e degli intellettuali assoldati da re e nobili, immersi in lotte inizialmente parallele a causa della tradizionale divisione dei mestieri, dopodiché si ricostruiscono le loro rispettive traiettorie a partire da quella base ideologica ereditata dal mondo classico. Abbiamo cercato di illustrare come le fasi dell’evoluzione dell’immagine sociale dell’artista corrano parallelamente al processo di secolarizzazione comunemente associato al Rinascimento, evidenciando l’importanza dell’esempio italiano come ispirazione per quel cambio di paradigma culturale. Dalle liti degli artisti per il loro riconoscimento come lavoratori liberali, supportate da trattati teorici e da raccolte di biografie elogiative, passiamo alla consacrazione dell’élite intellettuale emersa nel Settecento. Il nostro studio descrive sucintamente l’atmosfera speculativa che allora presiedeva alla nascita dell’opinione pubblica e di discipline come la storia dell’arte, con artisti illuminati che aspiravano a gestire le proprie istituzioni e cominciavano a raggrupparsi per formare un ceto con pretese dirigenziali. Allo stesso tempo, grazie ai primi organi di stampa, gli scrittori subordinati al patronato statale e in via di professionalizzazione stavano sviluppando un’incipiente coscienza di classe, indipendente dalla borghesia e dall’aristocrazia. L’ultima sezione del percorso storico proposto si occupa delle circostanze dei nostri artisti e scrittori tra le turbolenze dell’Ottocento. Guardiamo brevemente al precedente rivoluzionario francese e al fallimento dell’ideale settecentesco per spiegare i loro effetti sulla coscienza dell’intellighenzia spagnola, che a quel tempo era soggetta ai capricci della politica nazionale e internazionale, e che solo dopo il 1833 acquisì una certa capacità di manovra nella sfera pubblica. Il percorso studia gli alti e bassi del processo che nella seconda metà del secolo trasformò entrambi in manovalanza culturale, dipendente da una borghesia che a malapena contribuiva al sostegno del mercato artistico e dal patrocinio di uno Stato che doveva assumere le funzioni di mecenatismo precedentemente esercitate dalla Chiesa. Questa rapida panoramica, pur non essendo esaustiva, permette di situare l’artista in uno spazio e in un tempo specifici, dai suoi inizi come protetto della nobiltà o membro di un ceto alla sua successiva ascesa alla categoria di professionista salariato. Crediamo che questa visione dell’artista reale come una figura storicamente problematica, segnata dalla difficoltà di inserirsi negli schemi produttivi del capitalismo, possa essere orientativa per i lettori che non conoscono l’argomento prima di avvicinarsi al significato profondo nelle rappresentazioni romanzesche. La seconda sezione si occupa dell’artista come entità fittizia nelle narrazioni europee e spagnole. Tuttavia, prima di addentrarci nelle particolarità del personaggio in ogni Paese, una sezione viene dedicata a chiarire il concetto di artista con cui lavoriamo. Questa ci è sembrata un’aggiunta necessaria, dopo aver notato il senso forse troppo ampio in cui l’artista è stato inteso negli studi critici nel contesto tra Ottocento e Novecento. Dato che il nostro lavoro segue molto da vicino i postulati della sociologia della letteratura, e che siamo particolarmente interessati alla proiezione dell’artista come forza lavoro alienata, era inevitabile dedicare alcune pagine a distinguerlo da altri soggetti affini, con l’intenzione di delimitare il più possibile l’oggetto di studio ed evitare imprecisioni. Volutamente esclusi da questa analisi sono i tipi del bohémien, dell’esteta dandy decadente e dei dilettanti sulla falsariga dei romanzi di Huysmans e D’Annunzio, che consideriamo frutto di una circostanza molto più specifica, ed esenti, soprattutto, dalla reificazione autoimposta che condiziona la traiettoria di vita degli artisti professionali. La stessa ragione ci ha portato a dedicare un’altra sezione, più breve, al problema della coscienza artistica, il massimo esponente di quello che Freud chiamerà più tardi «il malessere della cultura», e una delle chiavi per distinguere il carattere del personaggio creativo da quello dei suoi contemporanei. Una volta chiariti i termini di definizione, il capitolo II propone una compilazione di opere di narrativa europea in cui l’artista gioca un ruolo di primo piano o, almeno, significativo rispetto alla sua arte, comprese le raccolte di racconti. Cominciamo in Germania, poiché i contributi pionieristici di Goethe, Heinse, Moritz, Hölderlin e Hoffmann furono i fondatori del sottogenere oggi conosciuto con l’etichetta di Künstlerroman. La Tesi comprende, oltre a una lista delle opere letterarie di ogni Paese in ordine cronologico, un breve commento alla trama dei testi a cui abbiamo avuto accesso, così come un elenco delle traduzioni fatte in Francia e in Spagna durante tutto l’Ottocento e della loro presenza nella stampa spagnola fino al 1913. L’inclusione di questi elementi ha lo scopo di misurare l’impatto reale che questi romanzi ebbero sul pubblico del periodo e, per estensione, la probabilità che il loro esempio influenzasse il destino o la configurazione psicologica dei letterati spagnoli. Lo stesso procedimento è stato applicato agli artisti delle narrative di Francia, Inghilterra, Stati Uniti, Italia e Russia, valutando comparativamente il background socio-culturale di ogni territorio e i fattori che potrebbero aver influenzato la maggiore o minore incidenza del personaggio nelle loro letterature. Nel corso di questa sezione abbiamo anche cercato di evidenziare sia le costanti osservabili in tutte le rappresentazioni sia le caratteristiche esclusive di una singola cultura, associando queste ultime, quando possibile, a fatti contrastanti della realtà storica che potessero spiegare gli atteggiamenti adottati dai loro artisti romanzieri. Concludiamo con un commento su quattro romanzi poco conosciuti ma tematicamente correlati di Franz Grillparzer, Herman Bang, Mário de Sá-Carneiro e José Maria Eça de Queirós. Dopo aver concluso la sezione europea, la ricerca si concentra su un esame più esaustivo del caso spagnolo. I ventisei romanzi selezionati sono stati classificati secondo le premesse estetico-argomentative dominanti nel loro approccio, dai campioni del costumbrismo romantico a quelli della narrativa lirica, psicologistica e metaletteraria della moda fin de siècle. Ad un primo livello, questa sezione contiene un’analisi sintetica di diciannove titoli pubblicati tra il 1842 e il 1913. Oltre all’argomento di ognuno di loro e alla loro fortuna editoriale, la nostra analisi sottolinea le caratteristiche più notevoli per lo scopo che qui ci interessa, specialmente in quelle opere che presentano maggiore entità e qualità letteraria. La paternità di queste opere spetta a un gran numero di scrittori, alcuni molto famosi, altri poco conosciuti, appartenenti a movimenti artistici e ideologici molto diversi tra di loro e il cui unico legame è, in alcuni casi, la scelta comune di un pittore, scultore, musicista o poeta come protagonista delle loro opere. Comunque sia, attraverso questa lunga serie di testimonianze assistiamo in rapida successione al processo evolutivo dell’eroe; all’inizio, come erede diretto di un romanticismo tragico, solitamente condannato alla solitudine a causa della sua incapacità ad adattarsi alle esigenze della vita del suo tempo, e che progressivamente si apre al mondo e assume il ruolo di lavoratore e cittadino. Insieme alla caratterizzazione attitudinale dell’eroe artista, la nostra tipología ci permette anche di notare l’eterogeneità estetica tipica del periodo, intendendo entrambe come sintomatiche dello stato culturale e mentale di una nazione sotto l’influenza di profondi mutamenti. Attraverso la presa di contatto con queste opere si intende preparare il terreno per gli studi più ampi proposti negli altri sei capitoli. Prima di chiudere la seconda sezione, abbiamo ritenuto opportuno aggiungere una rassegna compilativa di brevi scritti narrativi spagnoli, anch’essi associati alla figura dell’artista e firmati da autori di successo molto diseguale. L’interesse di questa piccola sezione risiede, soprattutto, nel fatto che porta alla luce alcuni racconti e raccolte che erano rimasti finora sconosciuti. Come per i romanzi, anche per questi testi vengono fornite informazioni editoriali e alcuni dati sul loro contenuto per facilitare la consultazione a chiunque possa esserne interessato. Il capitolo III rappresenta il primo pilastro su cui si basa il nostro discorso critico. El Cisne de Vilamorta (1885), un romanzo di Emilia Pardo Bazán, racconta la storia di un giovane poeta che sogna di conquistare la fama dal villaggio della sua Galizia natia. In esso troviamo un tipo rappresentativo dell’eroe incompreso dai suoi cari, frustrato e infelice in un ambiente poco propizio e già soggetto all’influenza delle premesse naturalistiche. Questa combinazione di realismo costumbrista e post-romanticismo si traduce in un elemento rabbiosamente soggettivo, un trovatore indottrinato condannato al fallimento delle sue fantasie, sulla falsariga delle Illusions perdues (1843) di Balzac e L'Éducation sentimentale (1869) di Flaubert, senza però aver avuto la possibilità di tentare la fortuna nella vita letteraria. Segundo García è il nostro poeta in fuga, l’inizio della fine dell’emarginato romantico che è stato costretto dal suo secolo a mettere da parte i versi per dedicarsi ad attività più produttive, e che è estraneo al suo ambiente, riluttante a ridursi a ciò che gli altri aspettano da lui. Il capitolo IV si occupa del tremendista Carlos Alvarado, il protagonista di Declaración de un vencido (1887), che si trasferisce da Cadice a Madrid con lo scopo di tutti gli aspiranti letterati. La degradazione personale dell’alter ego di Alejandro Sawa avviene sulla base delle delusioni, in un mercato letterario che non accetta le sue opere inedite, sperperando il suo talento al servizio di una stampa venduta ai partiti politici e abbandonato da un’amante che non tollera la mancanza di risorse economiche. Tutto quello che gli succede contribuisce a convincerlo che non ha posto in un mondo refrattario agli spiriti come il suo. Il secondo dei nostri artisti incarna l’idealismo sterminato dai flagelli di un’epoca materialista e corrotta, non concependo nemmeno di rinunciare alle sue pretese letterarie. Sono le condizioni avverse dell’ambiente e la sua mancanza di capacità d’adattamento che lo portano al suicidio, lasciando dietro di sé la testimonianza dell’unica delle sue opere destinata a sopravvivergli, come il prigioniero de Le Dernier jour d’un condamné (1829) di Victor Hugo. L’individualismo riduzionista dei romanzi precedenti è seguito nel capitolo V da un approccio molto diverso. José Zahonero racconta in Bullanga (1890) un doppio processo di alienazione che rappresenta un salto qualitativo nel tracciato psicologico dell’eroe artista. Il poeta Luciano Erlós e il pittore Anastasio Castro scendono per vie parallele dalle altezze del loro ideale giovanile per affrontare le necessità della vita quotidiana. La realtà della loro situazione familiare si impone ad entrambi e si ritrovano come lavoratori intrappolati in un sistema economico implacabile. L’accettazione rassegnata del loro destino, in opposizione all’ermetismo egoista dei loro predecessori, inaugura il percorso degli artisti claudicanti che cercano di integrarsi nella struttura ad ogni costo. Il modello della coscienza auto-assorbita cede alle esigenze di una società che ha bisogno di proletari, generando nuove dinamiche anche nella letteratura. Un esempio di transizione, a metà strada tra il modello narrativo tradizionale e gli usi del Novecento, è fornito nel capitolo VI da uno dei romanzi di Ángel Ganivet. Los trabajos del infatigable creador Pío Cid (1898) descrive i tentativi di un intellettuale rigenerazionista di ritagliarsi un posto nella società di massa, superando i limiti della professione artistica intesa come fabbricazione di prodotti materiali per rendere compatibile la coltivazione delle lettere con l’esercizio dell’insegnamento, come educatore di anime. Il processo psicologico di Pío Cid è la cronaca di una ripetuta delusione, uno scontro della volontà presuntuosa contro le circostanze di un Paese sommerso in una situazione di stagnazione socio-culturale ed economica, e che nessuno – nemmeno un uomo come lui, che pretende di conoscere più di trenta mestieri – è capace di raddrizzare. L’angoscia esistenziale di questo personaggio piegato a sovvertire le aspettative del lettore anticipa molte delle rese di cui si sarebbe scritto nel decennio successivo, con l’artista che cede all’inerzia degli eventi come un uomo qualunque. Il capitolo VII esamina un caso di trionfo artistico ottenuto a costo di reprimere la propria personalità. Mariano Renovales in La maja desnuda (1906) è un símbolo dell’ambizione e del desiderio eternamente insoddisfatto, questa volta incarnato nella figura di un pittore di umili origini che sposa una figlia della borghesia per fare carriera. Quella che Vicente Blasco Ibáñez racconta in questo romanzo è la storia di una vita con luci e ombre, gran parte della quale trascorre in un doloroso sforzo di adattamento da parte dell’artista che tenta di adeguarsi ai codici di una classe sociale alla quale si sente estraneo. Lo sradicamento che questo genera in lui, la mancanza di ciò che le convenzioni gli proibiscono, l’ideale mai raggiunto e successivamente svanito inseguendo sempre l’impossibile, fanno di quest’opera un curioso esempio di romanzo psicologico con un artista-operaio imborghesito in cui la dimensione intima e quella pubblica si intrecciano originando un esponente di un individualismo rarefatto e staccato dagli imperativi materiali. La Tesi si conclude, nel capitolo VIII, con l’analisi del caso di un poeta impegnato. Tomás Avendaño in Encarnación (1913) è un apprendista letterato, appassionato legatario del romanticismo filantropico al quale Joaquín Dicenta fa percorrere un tortuoso processo di formazione sentimentale, prima che il personaggio si renda conto della necessità di legittimare i suoi privilegi dedicandosi al miglioramento della società. Il cerchio si chiude con una resa volontaria, frutto di una certa esperienza traumatica che apre gli occhi dell’artista sulla situazione dei più deboli. Anche la sua è una spersonalizzazione condizionata da cause esterne, solo che in questo romanzo l’eroe l’accetta, in parte come una giusta rinuncia, senza tuttavia abdicare al desiderio che guida l’archetipo fin dalle sue origini nella letteratura romantica.